Brescia. Ad aprire la mostra Finché non saremo libere è la video installazione Becoming (2015) dell’iraniano Morteza Ahmadvand, che con questa opera riflette sulla possibile convivenza tra culture e sulla necessità di abolire distinzioni e gerarchie tra popoli e individui. Tre video proiettati su altrettanti schermi, a ciascuno dei quali corrisponde uno dei simboli delle tre principali religioni abramitiche: la croce cristiana, una stella di David e un cubo raffigurante la Kaaba islamica, qui idealmente uniti in una sfera che rimanda alla Terra, proposta come spazio in cui non ci sono differenze ma spazio uguale per tutti e tutte. Foto d’apertura: Shirin Neshat, Stories of Martyrdom (Women of Allah series), 1994. Stampa RC e inchiostro Collezione Genesi, Milano Ph. Copyright Shirin Neshat. Courtesy Shirin Neshat e / and Gladstone Gallery
Becoming, come l’intera mostra a Brescia, promuove la convivenza tra esseri umani e il raggiungimento di un’unità pacifica nel tumulto socio-politico e culturale attuale. L’opera dell’unico artista uomo esposto in mostra cede immediatamente il passo a una esposizione interamente dedicata ad artiste donne, divisa in tre sezioni.
La seconda questione di attualità, affrontata da Mequitta Ahuja – pittrice figurativa con radici afro-americane e indiane – dalla brasiliana Sonia Gomes e da Otobong Nkanga – artista nigeriana che vive e lavora in Europa – è l’identità multiculturale e l’importanza del dialogo, dell’interscambio e del rispetto reciproco tra culture.
La violenza del Potere, i soprusi perpetrati e a volte anche tollerati in alcune aree e Paesi del mondo, le guerre, i genocidi, lo sfruttamento sono i temi del terzo sviluppo tematico, sottesi nei lavori di Leila Alaoui, dell’artista sino-americana Hung Liu, che ha vissuto da giovane e in prima persona gli orrori della Rivoluzione culturale di Mao, dell’indiana Shilpa Gupta e di Toyin Ojih Odutola, artista americana di origini nigeriane.
La questione ambientale, l’autodistruzione da parte dell’essere umano del nostro pianeta è testimoniata nell’opera dell’artista franco-americana Anne de Carbuccia, mentre l’artista nigeriana Marcellina Akpojotor, Zehra Doğan – artista e giornalista curda con cittadinanza turca, protagonista della prima edizione del ciclo di esposizioni di Fondazione Brescia Musei dedicate all’arte e ai diritti umani, nota per essere stata arrestata e condannata per aver pubblicato sui social media un suo dipinto in cui raffigura la distruzione di Nusaybin dopo gli scontri tra le forze di sicurezza e gli insorti curdi –, Zanele Muholi – fotografa sudafricana che con la sua arte indaga instancabilmente temi come razzismo, eurocentrismo, femminismo e politiche sessuali – e Billie Zangewa – artista nata in Malawi e poi trasferitasi in Sudafrica – ci parlano più specificatamente della condizione femminile all’interno di contesti, privati o pubblici, in cui la supremazia maschile è ancora molto radicata.
La riflessione sulla questione di genere termina con le opere di due artiste iraniane, Soudeh Davoud e Shirin Neshat. La seconda sezione di mostra presenta due omaggi dedicati a due artiste iraniane molto note a livello internazionale, ma mai protagoniste di mostre personali in Italia: Sonia Balassanian e Farideh Lashai, entrambe nate negli anni Quaranta, e dunque formatesi prima della Rivoluzione Islamica del 1979.
Sonia Balassanian, nata nel 1942 ad Arak, oggi vive e lavora tra New York e l’Armenia. Ha iniziato come pittrice astratta, ma la sua ricerca ha avuto una svolta dopo il 1979 quando, in Iran, diventa attivista, concentrando il suo lavoro sulle urgenze sociali e politiche legate alle atrocità di quella drammatica situazione. Le sue opere, al MoMA di New York e al Padiglione Armeno della Biennale di Venezia 2007, sottendono una catena infinita di sofferenza, resistenza, trauma. In mostra a Brescia sono presenti tre cicli di opere su carta degli anni Ottanta e un’installazione degli anni Duemila.
Nata a Rasht nel 1944, Farideh Lashai ha tenuto mostre personali in importanti musei nel mondo e le sue opere sono state esposte in rassegne internazionali. Come Balassanian, è stata un’attivista: nei primi anni Settanta fu imprigionata a causa della sua politica di sinistra e del suo coinvolgimento nel movimento studentesco negli anni precedenti la rivoluzione islamica. Scomparsa a Teheran nel 2013, per tutta la sua attività ha riflettuto sulla storia e le condizioni socio-politiche dell’Iran. Esposto a Brescia è il suo più importante ciclo di opere: Rabbit in Wonderland, ispirato in parte ad Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll e composto da sette opere.
Il percorso espositivo si conclude con due coinvolgenti interventi site-specific – Verbum e Respiro –realizzati dalla giovane artista iraniana, Zoya Shokoohi nel corso di una residenza a Brescia avviata dalla Fondazione Brescia Musei come parte della mostra stessa e come ideale apertura verso le future generazioni. Finché non saremo libere non desidera soltanto approfondire la drammatica condizione femminile in Iran, ma porre anche l’accento sull’importanza delle ricerche di alcune artiste iraniane, selezionandole in base alle loro qualità che hanno permesso loro di imporsi all’interno del sistema artistico internazionale e di oltrepassare la drammatica situazione in cui verte il loro Paese. La mostra promuove così un messaggio di speranza universale e di empowerment per tutte le artiste donne, non solo iraniane.
Lunedì (non festivi): Chiuso
Martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato, domenica: 10:00 – 18:00
Ultimo ingresso: 17.15
Il biglietto consente l’ingresso a Brixia. Parco Archeologico di Brescia romana e Museo di Santa Giulia.