Roma. Al Palazzo Esposizioni Roma fino al 28 gennaio 2024, la mostra Don McCullin a Roma è la prima grande retrospettiva in Italia dedicata al fotografo britannico. Don McCullin è cresciuto a Finsbury Park, un quartiere operaio nel nord di Londra, e molti dei suoi primi scatti riflettono proprio le persone e i luoghi in cui viveva. Dopo un esordio come fotografo sotto le armi, McCullin ha portato la macchina con sé in Inghilterra e non se n’è più staccato, dando avvio a quello che sarebbe stato l’impegno di una vita con la fotografia. Foto apertura: Don McCullin, Senzatetto irlandese, Spitalfields, Londra, 1970, Stampa ai sali d’argento © Don McCullin, Courtesy Hamiltons Gallery.
Il primo successo è arrivato dalla sua comunità grazie a una fotografia di The Guvnors, una banda di ragazzi del quartiere. Nelle altre sue immagini della Londra della fine degli anni 50 e dei primi 60 vediamo una città che sembra guardare al passato e allo stesso tempo al futuro: pecore che vengono ancora portate al macello all’alba, appena dietro alla stazione di Kings Cross, mentre intorno nuove comunità si insediano e nuove mode e tendenze politiche prendono piede.
I primi anni 60 sono stati anche il momento del suo primo importante “incarico“ all’estero, che fu lui stesso ad assegnarsi pagandosi il biglietto per Berlino nel momento in cui si procedeva alla costruzione del Muro. Da questo avvenimento storico McCullin sarebbe ritornato con immagini incredibili, che gli avrebbero valso un contratto con il quotidiano The Observer e il suo primo Press Award.
Guerra e conflitti
McCullin è riconosciuto come uno dei maggiori fotografi di tutti i tempi, avendo lavorato per importanti giornali britannici come The Observer e The Sunday Times, sempre esponendosi a grossi rischi in alcuni dei conflitti più violenti del ventesimo secolo. Benché la prima delle sue “guerre’” sia stata la guerra fredda nello scenario della Berlino divisa, le sue prime vere e proprie esperienze di reporter sulla violenza di guerra le ha vissute a Cipro e in Congo.
Ma poi venne il Vietnam. Ben prima della ormai consueta pratica dell’embedding, con fotografi rigorosamente controllati dall’esercito, McCullin col suo obiettivo ha catturato l’orribile realtà della guerra rivelando, con le sue immagini di traumi e di morte, un conflitto destinato a diventare sempre più controverso.
In McCullin, l’imperativo morale di mostrare la guerra senza infingimenti non è mai venuto meno in ogni conflitto da lui testimoniato: dalla violenza con i suoi inevitabili effetti di sradicamento e carestia in Biafra e Bangladesh, all’orrore della guerra civile in Libano e, più vicino a casa, ai disordini nell’Irlanda del nord, i cosiddetti Troubles, degli anni Settanta. Nonostante nel 1979 si fosse ripromesso di smettere di fotografare guerre e conflitti, McCullin ha continuato di quando in quando a rimettersi in gioco, documentando la repressione dei curdi in Iraq agli inizi dei primi anni Novanta e la seconda guerra irachena nel 2003, e, più recentemente, anche quella in Siria.
McCullin iniziò anche a coltivare progetti personali, molti dei quali incentrati sulla parte nord dell’Inghilterra che si era andata rapidamente impoverendo per la deindustrializzazione. Dalla Liverpool dei primi anni Sessanta, alla Bradford degli anni Sessanta e Settanta, McCullin sorprende queste città nel momento del loro crollo materiale e sociale. Molte delle foto di questo periodo mostrano l’incredibile povertà di alcune parti della Gran Bretagna del dopoguerra, luoghi dove la gente si arrangia in case devastate o vive per strada.
Invece, più vicino a casa, in un Est End oggi per noi irriconoscibile, McCullin torna a fotografare un gruppo di senzatetto, persone traumatizzate che vivono per strada, a due passi dai ricchi quartieri finanziari di Londra. Ma grazie al suo approccio e all’umanità che lo contraddistingue, McCullin riesce a darci dei ‘ritratti’ veri e propri di individui a cui restituisce un’identità, come nel caso della senzatetto Jane con cui è entrato in contatto (foto d’apertura).
Coinvolto non solo dai luoghi che scopriva nei suoi incarichi, ma anche dalle persone che vi incontrava, nel tempo McCullin ha mantenuto rapporti con parecchie parti remote del mondo al di là della sua attività di fotografo di guerra. Da esponente della classe operaia animato da un autentico spirito cosmopolita, l’occhio di McCullin ha saputo anche vedere, al di là della miseria e della tragedia, la diversità e la forza dei popoli all’interno di una varietà di contesti.
L’India è stata per lui fonte di ispirazione nel corso di molti soggiorni, dalle grandi feste collettive lungo i fiumi Gandak e Gange, al pellegrinaggio alla Kumbh Mela, fino alle potenti immagini che ritraggono la disabilità e la deformità, rese e fotografate rispettando la dignità delle persone. Memorabili i ritratti dei membri della tribù dei Karo e dei Surma in Etiopia, anche le immagini nelle remote regioni selvagge dell’Egitto e del Sudan.
Don McCullin annovera più di quarant’anni di esperienza anche come fotografo paesaggista. Nel suo libro del 1979, Homecoming, McCullin dichiarava di voler ormai tagliare i ponti con la fotografia di guerra e trovarsi “un rifugio in campagna” dove “poter fotografare l’Inghilterra per il resto della vita”. Ma le foto che ne sono nate hanno ben poco dell’idillio pastorale.
La visione che McCullin ha del proprio paese è gravida di drammaticità e pathos. Nel suo vagare d’autunno e d’inverno per le colline e le paludi del Somerset, McCullin ci consegna un resoconto del mondo attorno a sé brutale e spesso addirittura tetro. Allo stesso modo i paesaggi scozzesi appaiono più pervasi dal sublime che dalla loro tradizionale bellezza, proprio come le sue toccanti composizioni di nature morte, poetiche e cariche di emotività.
All’inizio del nuovo millennio il suo ultimo grande progetto, una sorta di indagine fotografica culturale, architettonica e storica sui resti dell’Impero romano nell’area del Mediterraneo meridionale.
Dal Marocco all’Algeria nel sud ovest, fino alla Siria e al Libano nel nord est, McCullin ha passato anni a fotografare e rifotografare siti famosi come Baalbek, Palmira e Volubilis. Una posizione particolare in questo lavoro lo occupa Palmira, rimasta intoccata per migliaia di anni fino a quando non è stata attaccata e danneggiata dallo Stato islamico nel secondo decennio del Duemila.
L’attività di McCullin in questo campo non si è interrotta nemmeno durante la pandemia, con un importante lavoro in Turchia da cui è nato il suo libro più recente, Journeys across Roman Asia Minor.
Don McCullin è nato nel 1935 a Finsbury Park, a Londra, ed è oggi riconosciuto come uno dei più grandi fotografi del mondo. McCullin ha iniziato la sua carriera con una reflex biottica Rolleicord negli anni Cinquanta a Londra, e le sue foto, che ritraevano con una certa crudezza amici ed eventi locali, come ad esempio quella di una famigerata gang del suo quartiere, hanno subito suscitato interesse procurandogli un lavoro al The Observer.
Durante tutta la sua carriera, è stato riconosciuto come uno dei più importanti fotografi documentaristi britannici. Tra il 1966 e il 1984, McCullin ha lavorato per il The Sunday Times Magazine, all’avanguardia del giornalismo critico e di inchiesta. Tra le varie missioni di McCullin ci sono la guerra in Biafra, il Congo Belga, l’Irlanda del Nord, il Bangladesh e la guerra civile del Libano. Tuttavia, le sue fotografie più apprezzate sono quelle che mettono in luce i terribili costi umani delle guerre in Vietnam e in Cambogia.
Per riuscire a catturare queste immagini McCullin è sempre stato disposto a correre rischi enormi. È stato minacciato con un coltello a Beirut, accecato dai lacrimogeni durante una rivolta a Derry, nell’Irlanda del Nord, ferito dai frammenti di una granata in Cambogia. Nei primi anni Ottanta, Harold Evans, leggendario direttore del Sunday Times, si dimise quando Rupert Murdoch assunse il controllo del giornale. Il sostituto di Evans, Andrew Neil, licenziò McCullin che lamentava la mancanza di copertura degli eventi sociali sotto la nuova direzione.
McCullin ha continuato a girare il mondo e a fotografare, visitando l’India, la Siria e molti paesi del continente africano, dove ha realizzato un importante lavoro documentario sulla crisi dell’AIDS.
Uno dei suoi viaggi più ambiziosi lo ha portato a esplorare le rovine ai confini meridionali dell’Impero romano. Questo progetto è durato diversi anni ed è documentato nel libro Southern Frontiers: A Journey Across the Roman Empire (2010).
Vive con sua moglie Catherine nel Somerset. Da molti anni dedica tutto il tempo alla sua passione per il paesaggio britannico: fotografare quei paesaggi cupi e potenti allevia il peso delle sofferenze e delle tragedie di cui è stato testimone.
Don McCullin è autore di oltre una dozzina di libri. Gli sono stati conferiti prestigiosi premi come il World Press Photo, il Cornell Capa Award dell’ International Centre for Photography di New York, il Lucie Award nonché il premio alla carriera dell’International Centre for Photography.
Orari
Dal martedì alla domenica, dalle 10.00 alle 20.00, lunedì chiuso.